Quando si ricorre a terapie farmacologiche, quali sono quelle disponibili e quando poterle intraprendere?
Negli stadi più avanzati dell’epatocarcinoma (HCC), non sottoponibili a terapie curative (resezione epatica o ablazione o trapianto di fegato) e non sottoponibili a terapie loco-regionali (embolizzazione o chemioembolizzazione o radioembolizzazione) la terapia di scelta è quella che impiega farmaci sistemici, cioè in grado di entrare nel sangue e diffondersi in tutto l’organismo.
La definizione di “stadio avanzato dell’HCC” si riferisce alla presenza di un coinvolgimento tumorale (trombosi neoplastica) di un grosso vaso del fegato (es. la vena porta), alla disseminazione extra-epatica di malattia (es. con metastasi al polmone o alle ossa) o alla presenza di diffusione tumorale ai linfonodi, seppur in presenza di una buona funzione epatica. La malattia avanzata viene anche definita come epatocarcinoma in stadio BCLC-C (vedi più sopra dettagli su questo tipo di classificazione)
Negli stati iniziali di HCC in cui i trattamenti chirurgici e locoregionali non sono quindi più applicabili, i pazienti vengono trattati con farmaci a bersaglio molecolare cioè con terapie a base di farmaci intelligenti, che mirano pre valentemente alla distruzione delle cellule tumorali e che non sono associati agli effetti collaterali tipici delle chemioterapie tradizionali, ma che causano spesso una serie di segni e sintomi che è necessario conoscere e saper cogliere sul nascere per evitare deterioramenti della qualità della vita e della funzione del fegato tali da por- tare alla sospensione definitiva della stessa cura.
La terapia medica farmacologica per l’epatocarcinoma in stadio avanzato è disponibile da poco più di 10 anni. Come per gli altri tipi di terapia descritti nei paragrafi precedenti, la concomitante presenza della cirrosi in poco più del 90% dei casi di HCC ha reso di difficile (e spesso pericolosa) l’applicabilità gli schemi classici di chemioterapia del passato, condizione resa ancora più complessa da una intrinseca caratteristica dell’epatocarcinoma: la resistenza ai farmaci (multi-drug resistance), compresi molti chemioterapici (chemoresistenza). L’introduzione nella pratica clinica di categorie nuove di farmaci (es. gli inibitori multichinasici) ha avvicinato per la prima volta l’epatocarcinoma al mondo delle terapie farmacologiche, stimolando la ricerca scientifica ad esplorarne l’utilizzo in monoterapia o in modalità combinata.
I moderni farmaci contro l’HCC possono essere distinti in: terapie di prima linea (sorafenib o lenvatinib), di seconda linea (regorafenib o cabozantinib) e di terza linea (cabozantinib), in funzione dell’indicazione al loro utilizzo come terapie di primo approccio o da utilizzare laddove le terapie di prima linea non hanno prodotto benefici misurabili.
Farmaci di prima linea Farmaci di seconda linea Farmaci di prossimo impiego
Farmaci di prima linea
Il primo di questi farmaci ad avere ottenuto l’indicazione per il trattamento dell’HCC in fase avanzata è stato il sorafenib, un farmaco appartenente alla famiglia degli inibitori delle multichinasi. La sua efficacia è stata dimostrata in due studi molto noti e pubblicati nel 2008 e nel 2009, rispettivamente, da dove emergeva il duplice meccanismo d’azione: anti-proliferativo ed anti-angiogenetico. In entrambi gli studi il sorafenib (somministrato alla dose di 400 mg due volte al giorno, se ben tollerati) ha determinato un significativo prolungamento della sopravvivenza globale e del tempo alla progressione di malattia. In termini assoluti, il prolungamento della sopravvivenza mediana ottenuto col sorafenib è stato pari a 3 mesi circa rispetto ai pazienti trattati con placebo con una riduzione del 31% del rischio di morte. In ragione di questi risultati ottenuti nei pazienti con buona riserva funzionale epatica (stadio di Child A), insieme al basso rischio di scompenso epatico, hanno permesso sia all’agenzia regolatoria europea (EMA) che italiana (AIFA) l’approvazione del farmaco per il trattamento in prima linea dell’HCC in fase avanzata. Per queste indicazioni il farmaco è rimborsato in Italia.
Come tutti i farmaci di questa categoria, il sorafenib è globalmente ben tollerato. Gli effetti collaterali più comune- mente riportati sono: tossicità cutanea (HFSR, hand-foot-skin-reaction), diarrea, stanchezza profonda (astenia); meno frequente, seppur presente, l’ipertensione arteriosa.
La gravità degli eventi avversi è estremamente variabile e dipende dalla sensibilità di ogni individuo nei confronti del farmaco. I pazienti in terapia con sorafenib devono essere istruiti sulla rapida individuazione degli eventi avversi e sulla loro iniziale autogestione con riduzione graduale della dose sulla base della tossicità osservata fino ad ottenere una tolleranza soggettiva in grado di consentire di proseguire ininterrottamente con il farmaco. È da sotto- lineare che l’insorgenza di eventi avversi, soprattutto dermatologici, è stata più volte correlata con una miglior efficacia del farmaco e con una conseguente migliore prognosi.
Ci sono voluti 10 anni di studio e di sperimentazioni per arrivare ad avere una seconda molecola competitiva con sorafenib e quindi altrettanto efficace; nel 2018 è stato pubblicato lo studio che ha mostrato l’efficacia di lenvatinib, una piccola molecola inibitrice di chinasi multi target, che somministrata ad una dose peso-dipendente (+/- 60 Kg) di 8 mg o 12 mg, si è dimostrata non inferiore a sorafenib in termini di sopravvivenza globale: 13.6 mesi guadagnati da lenvatinib rispetto a 12.3 mesi per il sorafenib. Anche in questo caso lenvatinib si è dimostrato ben tollerato con ipertensione, anoressia e perdita di peso, alterazioni della funzione tiroidea come principali effetti collaterali. Presente seppur in percentuale inferiore a sorafenib la diarrea e tossicità cutanea. Lenvatinib è rimborsabile in Italia a partire dal settembre 2019 limitatamente ai pazienti con una buona riserva funzionale epatica (stadio di Child A).
È stato rilevato che la sequenza di trattamenti con farmaci di prima e seconda linea nei pazienti che avevano avuto iniziale risposta a lenvatinib, permette, nell’HCC avanzato, di raggiungere più di 2 anni di prolungamento della sopravvivenza.
Farmaco - I linea | Dosaggio | Modalità di assunzione | sopravvivenza globale (OS) - Mediana |
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Sorafenib | 400mg - due volte/giorno | ORALE | 12,3 mesi |
Lenvatinib | 8 mg (due capsule da 4 mg) una volta al giorno per pazienti < 60 kg 12 mg (tre capsule da 4 mg) una volta al giorno per pazienti ≥ 60 kg | ORALE | 13,6 mesi |
Farmaci di seconda linea
I farmaci di seconda linea (cioè da utilizzare in seguito a progressione del tumore nonostante il trattamento con i farmaci di prima linea) al momento disponibili sono 2: regorafenib e cabozantinib.
Il regorafenib ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza dei pazienti affetti da HCC in progressione sotto sorafenib, con un guadagno di circa 3 mesi rispetto al placebo (pazienti senza trattamento). La sequenza sorafenib-regorafenib ha dimostrato di poter raggiungere nei pazienti avanzati una sopravvivenza globale di 26 mesi, che è un risultato apparentemente scarso ma molto significativo se pensiamo che fino a pochi anni fa non esisteva alcun trattamento efficace. Regorafenib viene prescritto alla dose di 160 mg per cicli di 3 settimane consecutive con una settimana a seguire di pausa senza farmaco.
Gli effetti collaterali del regorafenib sono simili a quelli del sorafenib, tanto più che il farmaco è esclusivamente in- dicato in pazienti in progressione tumorale ma ancora tolleranti a sorafenib. Il farmaco è rimborsabile in Italia a partire dal 2018 sempre in pazienti con buona funzione epatica (Child Pugh A).
Un ulteriore farmaco di seconda linea è il cabozantinib. Si tratta di una molecola di recente approvazione e dalla fine del 2020 rimborsata in Italia. Come per il regorafenib, anche il cabozantinib è indicato nel trattamento del- l’epatocarcinoma in stadio avanzato se in progressione nonostante il trattamento con sorafenib. Nello studio pubblicato nel 2018, il cabozantinib si è dimostrato capace di nell’incrementare la sopravvivenza mediana di poco più di due mesi rispetto a un placebo.
Cabozantinib è stato approvato anche in terza linea, ovvero dopo fallimento di due precedenti linee di terapia. È quindi giustificato e possibile l’uso di cabozantinib dopo la sequenza di sorafenib e regorafenib. Allo stesso modo cabozatinib può essere prescritto in caso di progressione del tumore dopo il trattamento con una sequenza di lenvatinib e sorafenib (o viceversa).
Farmaco - II linea* | Dosaggio | Modalità di assunzione | Sopravvivenza globale (OS) - Mediana |
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Regorafenib | 160 mg (3 settimane si/una settimana no) | ORALE | 10,6 mesi |
Cabozantinib | 60 mg/giorno | ORALE | 10,2 mesi |
*In pazienti in progressione tumorale ma ancora tolleranti a sorafenib
Farmaci di prossimo impiego
In Italia non è ancora autorizzato e rimborsabile il ramucirumab (molecola appartenente alla classe degli anticorpi monoclonali) che ha dimostrato un significativo beneficio nei pazienti affetti da HCC avanzato limitatamente ai pazienti in progressione a sorafenib e con alfafetoproteina fortemente elevata (>400 mg/ml). Ramucirumab ha infatti ridotto il rischio di morte del 30% circa rispetto al placebo facendo registrare un miglioramento di sopravvivenza evidente in una condizione di malattia particolarmente aggressiva. Di fatto rappresenta il primo farmaco mirato su una popolazione di pazienti con HCC selezionati da uno specifico biomarcatore, che è l’alfa-fetoproteina (vedi sopra).
Molto dell’interesse oncologico in tema di trattamento con farmaci nei pazienti con HCC è rivolto all’immunoterapia: una modalità di trattamento antitumorale focalizzata non alla distruzione diretta delle cellule tumorali ma all’attivazione del sistema immunitario del paziente contro il tumore stesso.
In questo ambito il futuro è già presente, in quanto un recente studio ha dimostrato la superiorità dell’immunoterapia rispetto agli inibitori delle tirosin-chinasi. Da notare che lo studio che ha mostrato per la prima volta l’efficacia dell’immunoterapia lo ha fatto combinando quest’ultima (con un farmaco denominato atezolizumab) con farmaci chiamati anti-antiogenici come il bevacizumab.
Principali farmaci di prossimo impiego | Indicazione | Dosaggio | Modalità di assunzione | Sopravvivenza globale (OS) - Mediana |
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Atezolizumab + Bevacizumab | I linea | Atez. 1200 mg + bevaciz. 15 mg/kg ogni 3 settimane | Infusione endovenosa | 84,8% e 67,2% a 6 e 19,2 mesi rispettivamente |
Ramucirumab pz con alfa-fetoproteina nel sangue (AFP) ≥ 400 ng/ml | II linea* | 8 mg/kg ogni 2 settimane | Infusione endovenosa | 8,5 mesi |
*In pazienti in progressione tumorale ma ancora tolleranti a sorafenib
Ciò a sottolineare la necessità futura di combinare insieme l’immunoterapia con altre molecole a differente meccanismo d’azione. Al momento, le nuove combinazioni di farmaci non sono disponibili in Italia se non all’interno di studi clinici controllati nei Centri più importanti.
Gli immunoterapici, a differenza delle molecole attualmente di prima e seconda linea (vedi sopra), sono tutti farmaci a somministrazione endovenosa e hanno uno spettro d’azione decisamente diverso rispetto alla precedente tipologia di farmaci. Gli immunoterapici sono potenzialmente molto più efficaci dei farmaci tradizionali, anche se è difficile al momento prevedere in quali casi ciò si verifichi e in quali invece non si osservi risposta sul tumore. L’HCC, infatti, non sempre appare un tumore sensibile alla immunoterapia. I farmaci immunoterapici comunque hanno il vantaggio di causare effetti collaterali molto lievi in paragone ai farmaci attualmente in uso anche se è possibile osservare in alcuni casi la formazione di anticorpi attivi contro differenti organi del corpo umano (tossicità immuno-mediata). Le tossicità immuno-mediate, seppure molto raramente, possono essere molto gravi a fronte di efficacia globale anti-tumorale certamente di grande rilievo.
Per i motivi appena illustrati, l’utilizzo degli immunoterapici è assolutamente vietato in pazienti che già soffrono di patologie autoimmuni (o in terapia con immunosoppressori) le quali rischierebbero di diventare significativamente peggiori in corso di terapia.
L’immunoterapia è al momento in fase di esplorazione e studio anche come ausilio ai trattamenti degli stadi più precoci del tumore epatico (es. trattamenti loco-regionali o chirurgici) per capire se in grado di contribuire al miglioramento del risultato di questi ultimi.
Se quindi anche solo pochi anni fa la terapia sistemica equivaleva a poco più che un palliativo, oggi essa ha sicuri effetti positivi dimostrati dal prolungamento della sopravvivenza nei pazienti con tumore avanzato. L’immunoterapia potrà forse permetterci di raggiungere risposte anti-tumorali talmente soddisfacenti da poter pensare di essere impiegata in prima linea e anche nelle fasi iniziali dell’HCC, per favorire e migliorare i risultati delle cure radicali (chirurgiche e loco-regionali) impiegate nei vari stadi del tumore (vedi sopra)
Progetto realizzato grazie al contributo non condizionante di Fondazione Roche.
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