Tumore del fegato, in Sicilia c’è una rete di eccellenza
La regione ha realizzato una “Rete assistenziale integrata sul territorio” per l'epatocarcinoma, e il percorso di diagnosi e cura del Policlinico di Palermo è stato certificato. Un convegno per fare il punto sulla gestione della neoplasia
La Sicilia è stata la prima regione in Italia a costituire la Rete per la cura del tumore del fegato, con centri principali (hub) e secondari (spoke). E ora il Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) per l'epatocarcinoma del Policlinico ‘Paolo Giaccone’ di Palermo è stato certificato da un ente esterno. Due elementi importanti per promuovere l’equità di cura e assistenza per tutti i cittadini siciliani che ricevono la diagnosi di questa neoplasia.
Il tumore del fegato
L’epatocarcinoma è il più frequente tumore primitivo del fegato ed è la terza causa di decesso per malattia oncologica nel mondo, dopo il tumore del polmone e del colon. In Italia, nel 2023 si sono registrate circa 12 mila diagnosi (soprattutto negli uomini) e nel 75-85% dei casi si è trattato di un epatocarcinoma. Proprio per fare il punto sulla gestione di questo tumore in Sicilia, oggi il Policlinico ha organizzato il convegno “Epatocarcinoma: prevenzione e cura” insieme ad AZ Salute (il supplemento di biomedicina e sanità del Giornale di Sicilia), con i patrocini dell’Associazione EpaC-ETS, dell’Assessorato della Salute della Regione e della Società Italiana di Storia della Medicina, e grazie al contributo non condizionante di Roche.
Il progetto della Rete Siciliana
Non vi è dubbio - sottolineano gli esperti - che la Rete regionale abbia migliorato i percorsi di cura e ottimizzato i tempi di diagnosi. Qualche numero: tra i centri hub, il Policlinico di Palermo segue ogni anno circa 150 casi di tumore del fegato, mentre i casi discussi dal suo team multidisciplinare sono circa 180, e i tempi per ricevere la diagnosi si attestano tra i 15 e i 20 giorni. “Il livello di eccellenza raggiunto dall’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia ed Epatologia nella gestione delle malattie del fegato e dell’epatocarcinoma si è concretizzato nella certificazione nazionale ufficiale Pdta dell’epatocarcinoma, rilasciata da Bureau Veritas Italia”, conferma Maria Grazia Furnari, Direttrice Generale del nosocomio. Si attestano così le competenze del centro e di professionisti che si sono contraddistinti in Italia e nel mondo in questo ambito.
Un modello virtuoso contro la migrazione sanitaria
Un ruolo importante riveste la Scuola di Specializzazione regionale, che consente di formare giovani gastroenterologi, come ha ribadito Calogero Cammà, Direttore dell’UOC di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico: “Siamo in prima linea nel coordinamento della Rete Regionale per l’epatocarcinoma. Nel prossimo futuro sarà di fondamentale importanza implementare modelli organizzativi in cui l’innovazione tecnologica e digitale, quindi l'intelligenza artificiale, possano essere integrati nell’attività clinica quotidiana”.
La Rete ha anche permesso di abbattere la mobilità extraregionale, sottolinea Giuseppe Cabibbo della stessa Unità. Non solo: “Grazie ai board su piattaforma web, ha ridotto la necessità di spostamento dei pazienti, fra aziende e centri hub e spoke. Fondamentale il team multidisciplinare, in cui l'epatologo-gastroenterologo rappresenta la figura cardine e l'anello di congiunzione tra diverse figure professionali in tutte le fasi del percorso del paziente”.
L’importanza del gruppo multidisciplinare
La presenza attiva di un team multidisciplinare, che comprenda patologi, chirurghi, oncologi, radiologi clinici dedicati, radiologi interventisti ed altri specialisti - e la gestione esperta da parte dell’epatologo sono elementi essenziali anche per Massimiliano Conforti, Vice Presidente dell’Associazione Epac-ETS, “perché parliamo di un tumore che si sviluppa su un organo già danneggiato dalla cirrosi nella quasi totalità dei casi”. E che purtroppo non dà segni di sé fino agli stadi avanzati, il che complica la diagnosi precoce: solo 3-4 casi su 10 vengono scoperti quando il tumore è in stadio iniziale. Tre i fattori di rischio più comuni vi sono le infezioni da virus dell’epatite B o C (responsabili di circa l’85% dei casi), l’abuso di alcolici e la sindrome metabolica. Conoscerli, concludono gli esperti, offre la possibilità di fare prevenzione primaria e secondaria, anche attraverso controlli gastroenterologici regolari.
Fonte: repubblica.it