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I congiunti del paziente che decede per errore medico, hanno diritto al risarcimento del danno

Nel contenzioso sanitario, una questione frequente è quella dei congiunti di un paziente deceduto a causa di un errore medico, che richiedono il risarcimento per il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale. I congiunti possono agire sia iure hereditario per i danni subiti dal paziente deceduto, sia iure proprio per i danni personali subiti.

Tra le questioni che, non di rado, ci si trova ad affrontare nell’ambito del contenzioso sanitario, vi è anche quella dei congiunti del paziente, deceduto a causa di un errore medico, che agiscono per richiedere il risarcimento del c.d. danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.

Oltre, infatti, a poter agire iure hereditario per i danni patiti dal de cuius, i congiunti possono agire anche iure proprio per i danni patiti personalmente.

Dalla stessa condotta colposa possono difatti discendere conseguenze pregiudizievoli in capo a differenti soggetti, tutti legittimati a richiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguiti, sia quindi la c.d. vittima primaria, nel ns. caso il paziente, sia le c.d. vittime secondarie, ossia quei soggetti legati al de cuius da uno stretto vincolo affettivo, parentale, coniugale o di affinità, o di altra natura. Per questo, si usa parlare di illecito plurioffensivo.

Diversamente da quanto accade per l’azione iure hereditario, in cui legittimati ad agire sono però solo gli eredi, nel caso dell’azione iure proprio, legittimati ad agire per il risarcimento del danno non patrimoniale patito per l’uccisione del congiunto, oltre ai prossimi congiunti e ai parenti della vittima primaria, a prescindere dalla loro qualità di eredi, sono anche i soggetti che, sebbene non possano vantare alcun rapporto di parentela, di coniugio o di affinità con il paziente, dimostrino comunque di avere avuto con quest’ultimo uno stretto legame affettivo e materiale.

La perdita del rapporto parentale comporta, del resto, l’ingiusta privazione di un legame fondamentale nell’esistenza del congiunto superstite, a causa del vuoto per «non poter più godere della presenza e del rapporto con il de cuius» (c.d. danno da lutto), pregiudizio che si proietta anche nel futuro, con riguardo al periodo di tempo nel quale si sarebbe presumibilmente prolungato il rapporto con il congiunto.

Da un punto di vista fenomenologico, il danno da perdita del rapporto parentale assume dunque una duplice dimensione morfologica:



  • quella interiore, relativo alla sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto sofferto (cd. danno morale), che si colloca nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso;

  • quella esistenziale, ossia dinamico-relazionale (c.d. danno relazionale) che si colloca nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé”, relativamente allo sconvolgimento dell’esistenza, che si sostanzia in fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita (Cass. civ., ord. n. 23469/2018).


Va osservato che le due componenti del danno da perdita del rapporto parentale non necessariamente coesistono. Sebbene, infatti, tali aspetti rappresentino «articolazioni costitutive» del danno parentale, non sempre, alla morte del congiunto, oltre ad una intensa sofferenza morale per il superstite, consegue anche una modificazione in pejus delle attività dinamico-relazionali della sua vita, trattandosi di una diversa dimensione della persona.

Dalla perdita del congiunto, può inoltre derivare un danno biologico psichico, laddove la sofferenza trasmodi in malattia e venga quindi intaccata anche l’integrità psichica del congiunto superstite. Tale danno dovrà essere liquidato separatamente, come voce autonoma, sulla base della valutazione della menomazione residua attuata a livello medico-legale.

Da un punto di vista probatorio, l’onere di dimostrare la sussistenza delle componenti di danno in questione risulterà più o meno stringente a seconda della “qualità” del rapporto di chi richiederà il risarcimento.

Per i soggetti afferenti alla c.d. famiglia nucleare e dunque legati da uno stretto vincolo di parentela, c.d. congiunti immediati (la moglie, il marito, la parte dell’unione civile, il convivente more uxorio, i figli, i genitori, le sorelle ed i fratelli), la prova sarà meno rigorosa e potrà essere raggiunta anche tramite presunzioni, mentre sarà più rigorosa, per i soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (i nonni, i nipoti, il genero, la nuora, gli zii, la fidanzata non convivente e i familiari di fatto) (Cfr. Cass. civ., sent. 28989/2019).

Con particolare riguardo alla categoria dei c.d. familiari di fatto, ossia di quei soggetti che, sebbene non possano vantare alcun legame di parentela o affinità con la vittima primaria, ricoprano il ruolo di congiunto de facto, la giurisprudenza, di regola, subordina il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale alla prova della sussistenza di un rapporto che abbia le medesime caratteristiche di una relazione di affetto, di consuetudini di vita e di abitudini tipiche di uno stretto rapporto parentale, anche quindi se il rapporto sia intrattenuto da un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale con la vittima primaria (Cfr. Cass. civ., sent. n. 20835/2018, conforme Cass. civ., sent. n. 28989/2019, Cass. civ., sez. III, 11/11/2019, sent. n. 28989, Cass. civ., sez. III, 12/09/2019, n. 22741).

Sul punto, i giudici valutano specifici indici presuntivi utili e necessari, al fine di accertare lo status di familiare di fatto, quali:



  • la risalenza della convivenza;

  • la diuturnitas delle frequentazioni;

  • il mutuum audiutorium;

  • l’assunzione concreta di tutti gli oneri e doveri propri del ruolo de iure da parte del congiunto de facto.


In ogni caso, il danno non dovrà mai considerarsi in re ipsa: non basterà quindi vantare una mera pretesa di posizione in ragione della titolarità di un rapporto familiare o di fatto, ma occorrerà necessariamente allegare e provare la sussistenza, in concreto, di un intenso legame affettivo tra le parti, oltre all’incidenza del decesso della vittima primaria sulla vita della vittima secondaria, in termini sia sofferenziali, sia dinamico-relazionali. Sarà poi compito del giudice apprezzare la gravità o l’entità effettiva del danno e l’eventuale sussistenza di una sola, o di entrambe, le componenti in termini di sofferenza interiore e dinamico-relazionale.

A livello liquidatorio, la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 37009/2022, ha convalidato l’applicabilità del nuovo sistema tabellare a punti proposto nel 2022 dal Tribunale di Milano e fondato su 5 diversi indici (i.e. rapporto di parentela tra la vittima primaria, eventuale convivenza, rispettive età e sopravvivenza di altri familiari, con possibilità di personalizzazione sulla base del caso specifico e della intensità della relazione e della frequentazione).

Da un punto di vista strettamente monetario, le forbici liquidatorie della tabella milanese - aggiornate al 2024 - variano:



  • tra euro 195.55,59 ed euro 391.103,18, per la perdita dei genitori/figli/coniugi e assimilati (i.e. convivente more uxorio, coniuge non separato, parte dell’unione civile)

  • tra euro 28.301,23 ed euro 169.830,60, per la perdita del fratello o del nipote.


Naturalmente, il giudice potrà decidere di liquidare sotto il valore minimo o addirittura di non liquidare alcunché nel caso in cui il congiunto non sia in grado di provare l’intensità del rapporto con il de cuius o addirittura, dall’istruttoria, sia emersa l’assenza totale di un legame affettivo (es. divorzio molto conflittuale).

All’esito di questa analisi, quel che certamente colpisce è l’entità dell’ammontare risarcitorio potenzialmente liquidabile a favore dei congiunti nel caso di morte del paziente, soprattutto se le richieste pervengono da più soggetti; si pensi ad una famiglia numerosa, in cui ad agire iure proprio siano i genitori del de cuius, la moglie, i figli e i fratelli.

Se a questo si dovesse anche aggiungere un eventuale danno psichico e se all’azione iure proprio dovesse inoltre aggiungersi l’azione iure hereditario (i.e. danno terminale, danno catastrofale, danno intermittente), il totale risarcitorio liquidabile raggiungerebbe somme davvero ingenti

Senza contare che la disamina sin qui attuata tiene conto dei soli aspetti di natura non patrimoniale, ai quali -di regola- si sommano anche quelli patrimoniali. Ci si riferisce, nella specie, al lucro cessante e al danno emergente maturati a seguito della morte del congiunto e quindi, per esempio, al venir meno del contributo economico di quest’ultimo al menage familiare ovvero alle spese sostenute per visite e cure o, ancora, alle spese per il funerale.

Fonte: clinicalnetwork.it

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