Adroterapia: al Cnao di Pavia la cura dei tumori passa (anche) dai quanti
Protoni. Ioni carbonio. E, in un paio d’anni, pure neutroni e boro. La lotta al cancro passa anche da queste evoluzioni della radioterapia.
Presente e futuro, realtà e prospettive della cura più avanzata di alcuni tumori solidi che stanno prendendo forma al Centro nazionale di adroterapia oncologica (Cnao) di Pavia, il primo poliambulatorio a essere fondato grazie a una sinergia senza precedenti tra fisici, ingegneri e medici. A tenerli assieme, un obiettivo: far viaggiare protoni e ionio carbonio quasi alla velocità della luce. Come accade al Cern di Ginevra, ma con finalità terapeutiche.
Una missione che può considerarsi riuscita: quasi cinquemila i pazienti trattati in dodici anni, prossima a 600 la quota dei “nuovi” malati che vi accede ogni anno. Maggiormente dalla Lombardia, ma sempre più anche dal resto d’Italia.
Del resto non potrebbe essere altrimenti, per una struttura senza analoghi lungo lo Stivale. Con poche realtà simili (sei) in tutto il mondo. E destinata a diventare la prima al mondo come dotazione tecnologica, quando saranno completati i lavori di ampliamento.
Adroterapia: di cosa si tratta?
L’adroterapia è una forma avanzata di radioterapia ideale per trattare tumori difficilmente operabili: perché vicini a organi vitali e delicati (come occhi, nervi, cervello) o resistenti alla radioterapia convenzionale.
Rispetto a quest’ultima, che impiega fotoni (raggi X), si avvale di particelle pesanti, i protoni e gli ioni carbonio (adroni). Il processo parte dal sincrotone, che eroga sia protoni sia ioni carbonio. E ne accelera la diffusione, per colpire in maniera selettiva il tumore.
Questi, all’inizio del tragitto attraverso il tessuto, viaggiano velocissimi e con ridotte probabilità di interazione con la materia. Ma man mano che penetrano nei tessuti del paziente, perdono energia fino a fermarsi.
Così, una volta giunti al bersaglio, le particelle rilasciano tutta l’energia residua e danneggiano il Dna tumorale.
Una stella polare dell’oncologia nel mondo
In nessun altro luogo in Italia, nel momento in cui si varca la porta scorrevole che separa il mondo di fuori da questa bomboniera del progresso scientifico, si ha la sensazione di essere al contempo in una cattedrale della fisica e in una delle punte di diamante della sanità italiana.
Più delle ricadute nell’ambito dell’oncologia, per il momento, è la cooperazione ai massimi livelli tra le due discipline a fare di questa struttura un unicum nel panorama sanitario italiano. Fondazione privata convenzionata con la sanità pubblica, il Cnao è un emblema della rete tra centri di cura creata nella più popolosa Regione italiana.
Un grande poliambulatorio, privo di posti di letto come di alcune figure specialistiche (dagli anestesisti agli anatomopatologi) di cui il Centro nazionale di adroterapia oncologica può disporre grazie alle convenzioni attive con altre strutture lombarde di primo piano. Un’integrazione non priva di difetti, ma che continua a favorire l’introduzione di nuove opportunità per i pazienti a una velocità nemmeno paragonabile a quella rilevabile nel resto d’Italia.
Così – nonostante la presenza di centri di protonterapia a Trento e a Catania (ma in Sicilia vengono trattati soltanto tumori oculari), quella appena celebrata dall’Istituto europeo di oncologia (il primo Cancer center a disporre di questa tecnologia) e i progetti in cantiere a Torino (Istituto di Candiolo), nella Capitale (Istituto nazionale tumori Regina Elena) e a Napoli (Istituto tumori Fondazione Pascale) – il Cnao si è conquistato un primato (prima) italiano e (poi) europeo.
La fisica dei quanti al servizio dell’oncologia
Un Camp Nou – per usare una metafora calcistica – nel panorama dei poli di cura e di ricerca clinica destinato a diventare un punto di riferimento su scala mondiale.
“La pretesa non è arrivare a tutti i pazienti né di essere direttamente loro interlocutori”, chiarisce il direttore generale Sandro Rossi. A fronte di circa seimila pazienti italiani trattabili con i protoni e gli ioni carbonio, una volta ampliata la struttura, il Cnao potrà curarne fino a mille ogni anno.
Un traguardo che ci si augura di vedere aumentare sulla base delle evidenze che saranno raccolte grazie alle sinergie con università, centri di ricerca e Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico anche di altri Paesi.
“Se tutto andrà come ci auguriamo, speriamo di poter offrire una nuova speranza al 30-40 per cento di pazienti metastatici che oggi sono privi di ulteriori opzioni di cura”, aggiunge Rossi: con riferimento soprattutto alle possibili ricadute che deriveranno dalla futura disponibilità della terapia per la cattura neutronica del boro (Bnct).
Metodica (sperimentale) basata sull’interazione tra un fascio di neutroni a bassa energia e il Boro-10, che una volta raggiunta la cellula tumorale sono in grado di farla “implodere”.
Adroterapia: protoni o carbonio (e in quali casi)?
I pazienti che vengono indirizzati al Cnao dai radioterapisti di tutta Italia possono beneficiare di due tipologie di trattamento: l’irradiazione con i protoni e quella con gli ioni carbonio.
“La prima è indicata soprattutto nei bambini affetti da un tumore solido”, spiega Ester Orlandi, radioterapista e direttore del dipartimento clinico del Cnao. Sebbene al momento non siano pubblicati i dati di studi randomizzati di fase 3 che confrontino l’efficacia della protonterapia con la radioterapia tradizionale, numerose sono le evidenze che premiano la ridotta tossicità della prima.
Un aspetto che, in pazienti accompagnati da una maggiore prospettiva di vita, “riduce il rischio di sviluppare nel tempo i cosiddetti tumori radioindotti”, aggiunge la specialista, a Pavia dal 2020: dopo quasi due decenni trascorsi all’Istituto nazionale tumori di Milano.
Diverse sono invece le applicazioni della terapia a base di carbonio, in grado di provocare danni irreparabili al Dna tumorale: con una capacità tre volte superiore a quella riconosciuta ai raggi X. Da qui il maggiore potenziale applicativo. “Guardiamo soprattutto a quelle malattie che riprendono a proliferare nonostante la radioterapia – precisa l’esperta –. Oppure le forme di cancro non operabili in ragione della loro localizzazione né trattabili con raggi X per il rischio di danneggiare altri organi”.
E dunque: dai tumori della prostata ad alto rischio alle recidive dei tumori del retto, dalle neoplasie di mammella e polmone (come ulteriore linea terapeutica) a quelle di pancreas e fegato (se inoperabili). Fino alle metastasi generate da sarcomi, melanomi e tumori del rene. E alle forme avanzate o recidivanti di alcuni tumori ginecologici.
Variabile è il numero di sedute, definito di concerto tra i radioterapisti e i fisici medici: fino a 16 nel caso dei trattamenti con il carbonio, 32-35 se a base di protoni. Una al giorno: durata compresa tra due e sei minuti.
Quali sono i tumori trattabili con l’adroterapia?
Dal 2017 l’adroterapia è rimborsata dal Servizio sanitario nazionale, in quanto rientra nei livelli essenziali di assistenza (Lea). I tumori per cui può essere erogata sono i seguenti:
cordomi e condrosarcomi della base del cranio e del rachide
tumori del tronco encefalico e del midollo spinale
sarcomi del distretto cervico-cefalico, paraspinali, retroperitoneali e pelvici
sarcomi delle estremità resistenti alla radioterapia tradizionale (osteosarcoma, condrosarcoma)
meningiomi intracranici in sedi critiche (stretta adiacenza alle vie ottiche e al tronco encefalico)
tumori orbitari e periorbitari (ad esempio seni paranasali), incluso il melanoma oculare
carcinoma adenoideo-cistico delle ghiandole salivari
tumori solidi pediatrici (nei quali è cruciale ridurre al minimo la dose ai tessuti sani per limitare il rischio che i bambini, una volta adulti, possano sviluppare tumori secondari)
tumori in pazienti affetti da sindromi genetiche e malattie del collageno associate ad un’aumentata radiosensibilità
recidive che richiedono il ritrattamento in un’area già precedentemente sottoposta a radioterapia
Adroterapia: cosa manca per ampliare l’offerta?
Fin qui il passato e il presente del Cnao, che non intende però fermarsi. Oltre all’innovazione tecnologica, i prossimi anni dovranno essere contrassegnati dalla produzione di quelle evidenze scientifiche che potrebbero far crescere il peso dell’adroterapia nella cura dei tumori. è questo il primo passo da compiere per immaginare di vedere esteso il ricorso all’adroterapia ad altre malattie.
“Penso per esempio ad alcuni sottotipi di tumori del distretto testa-collo e ai gliomi di basso grado, che in altri Paesi vengono per esempio già trattati in questo modo e in Italia no”, puntualizza Orlandi.
La maggiore efficacia che in alcuni casi queste tecnologie mostrano rispetto ai raggi X è sottoscritta dai fisici. “Ma in assenza di dati provenienti da studi di fase 3 non è semplice favorirne l’introduzione nella pratica clinica”.
A livello europeo, però, in questo ambito è consentito percorrere anche altre strade. Una è la comparazione dosimetrica che già oggi, a fronte di indicazioni sovrapponibili, guida la scelta dei pazienti da trattare con la radioterapia convenzionale o con i protoni sulla base di una valutazione che premia la probabilità di avere maggiore o minore tossicità.
L’altra punta sull’apertura di registri prospettici, per fare in modo che siano i real world data a guidare le scelte di sanità pubblica.
Bnct: quali prospettive?
Dal 2021 è in corso l’espansione del Cnao, che si completerà entro il 2024 con la costruzione di un secondo edificio destinato ad attività terapeutiche e di ricerca.
La nuova area comprenderà l’acceleratore di protoni a fasci rotanti (Hitachi) e quello per la produzione di neutroni e l’erogazione della Bnct (Tae Life Sciences).
Il centro di Pavia diventerà così l’unico al mondo a disporre di un sincrotrone per ioni multipli (protoni e ioni carbonio), di una protonterapia a fasci rotanti e della metodica sperimentale Bnct. Investimento complessivo: oltre 60 milioni di euro.
“I dati che arrivano da Cina e Giappone ci dicono che la terapia Bnct può essere particolarmente efficace nel trattamento delle recidive del glioblastoma e dei tumori del distretto testa-collo – conclude Orlandi –. Al di là degli elementi disponibili, il nostro compito sarà pure quello di selezionare i pazienti da trattare con una metodica o con un’altra. Dobbiamo migliorare la conoscenza della biologia dei tumori e capire quali sono i meccanismi che vengono intercettati dalle varie possibilità che abbiamo”.
Fonte: aboutpharma.com